Sermoneta tra Agro Pontino e MontiLepini.

Siamo così piccoli davanti a tanta bellezza!
L'immagine può contenere: montagna, cielo, spazio all'aperto e natura
(📷lux_skywalker11)

Sermoneta tra Agro Pontino e MontiLepini.


AGRO PONTINO

L'Agro Pontino è un'area della regione italiana del Lazio facente parte della pianura pontina.

L'etimologia del termine pontino è una questione molto dibattuta. Probabilmente deriva dall'antica città prima volsca di Suessa Pometia, citata da alcuni storici romani e sottomessa da Tarquinio il Superbo[1], da cui forse l'espressione Pometinum riferito al luogo; oppure entrambi derivano dal sostantivo Pontus, Pontos, Πόντος in greco che significa mare o distesa d'acqua (vedi anche Ponza e Ponto).


Età antica

I popoli dell'Italia antica presso l'Agro Pontino      I resti di un'antica strada romana a Cisterna

Le paludi pontine in età remota erano ricoperte da una estesa laguna che in seguito venne prosciugata, lasciando la fertile terra. I primi tentativi di bonifica storicamente accertati risalgono ai latini e sono testimoniati dal rinvenimento di un esteso sistema di drenaggio con cunicoli sotterranei, dotati di pozzi per bonificare il territorio pontino settentrionale.[2]

Una leggenda vuole che la palude fosse opera della dea Giunone che volle punire così la ninfa Feronia che qui viveva e che era una delle tante amanti di Giove.

I Latini e i Volsci fondarono nella pianura diverse città, tra i quali la tradizione ha riportato i nomi di Suessa Pometiae Satricum, Ulubrae(Ninfa) e Tiberia (fra i comuni di Cisterna, Cori, Sermoneta). Nel 492 a.C. i consoli vi inviarono emissari, come anche in Campania e Sicilia, per acquistare grano per far fronte alla carestia che attanagliava l'Urbe[3].

In età imperiale, i Romani riuscirono a strappare alla palude ulteriori terreni e permisero la nascita di alcuni centri lungo la Via Appia Anticache attraversa l'area. I più celebri tra questi centri furono Tres Tabernae, Tripontium e Forum Appii, citati negli Atti degli Apostoli. In queste tre città infatti, l'apostolo Paolo si ristorò e fu accolto dalla locale comunità cristiana: la presenza di questa comunità è un segno che le città avevano raggiunto un numero notevole di abitanti.


«Or i fratelli, avute nostre notizie, di là ci vennero incontro sino al Foro Appio e alle Tre Taverne»
(Atti degli Apostoli 28,15)

Nel 204 a.C. il console Marco Cornelio Cetego fa scavare un canale parallelo alla via Appia per proteggere la via consolare dall'inondazione e dal dissesto.

Quando Cesare conquista il potere concepisce il gigantesco progetto di deviare il corso del Tevere verso l'Agro Pontino fino a Terracina, prosciugando le paludi e nello stesso tempo procurando a Roma un porto più sicuro di Ostia. Dopo la sua morte il progetto sarà ridicolizzato in Senato da Cicerone.[2]

Buona parte dell'attuale Agro Pontino dopo le invasioni barbariche tornò ad impaludarsi nonostante i tentativi di salvare la bonifica effettuati da re Teodorico il Grande.

Il Medioevo
Gli assalti dei Saraceni spinsero la maggior parte della popolazione a rifugiarsi sulle montagne. Intorno al XII secolo ai margini della palude sorse il centro di Ninfa, che riuscì a sottomettere i comuni rivali di Sermoneta e Sezze. Gli abitanti di Ninfa avviarono progetti di bonifica e poterono godere della posizione particolare della loro città, che le consentiva di essere una stazione di dazio obbligata per i traffici da Roma verso il meridione: infatti in seguito all'impaludamento della consolare Appia nella tratta compresa tra Tres Tabernae e Terracina, i traffici diretti a sud dovettero essere deviati dall'Appia stessa verso un itinerario pedemontano, che iniziava per l'appunto dove Ninfa sorse e prosperò. Ma il declino della città, che offrì rifugio a Papa Alessandro III inseguito dal Barbarossa, fece crollare la fragile bonifica e i suoi abitanti furono decimati dalla malaria. Oggi le rovine di Ninfa, al centro di un giardino, sono state recuperate e sono visibili al pubblico.

Nell'età medievale le paludi pontine diventarono feudo della famiglia gaetana dei Caetani, il cui ramo pontino ebbe sede a Sermoneta e a Cisterna.

papa Sisto V

L'opera del papato
Nel Quattrocento papa Martino V approvò un primo progetto di bonifica.

A caccia nelle paludi pontine. Dipinto di Horace Vernet (1833)

Nel Cinquecento l'impresa di bonificare le paludi pontine, considerata impossibile, affascinò anche Leonardo da Vinci, che studiò un sistema di canali e di macchine idrovore: il progetto sebbene approvato da papa Leone X non andò mai in porto per la morte del Papa[4]. Il sistema studiato da Leonardo, risulta straordinariamente corretto e fu punto d'ispirazione per i successivi progetti di bonifica del periodo fascista.

Tuttavia, agli inizi del Cinquecento papa Leone X concesse al fratello Giuliano de’ Medici la bonifica a proprie spese dell'Agro Pontino, in cambio della proprietà delle terre risanate. Dopo la sua morte gli abitanti di Terracina, pentitisi di aver ceduto il territorio riemerso, chiusero la foce del canale a Badino. Il nuovo papa Sisto V concepì un piano generale di bonifica che affidò all'architetto Ascanio Fenizi di Urbino. Questi divise la palude in venti zone e, trascurando il Rio Martino, sistemò il Fiume Antico (detto poi Sisto) aumentandone la profondità ed aprendo uno sbocco in mare. Le terre furono liberate dalle acque, ma dopo il 1590 furono di nuovo inondate a causa degli errori progettuali di Fenizi e dei disordini nelle campagne.[2]

Nel 1637, sotto Urbano VIII, una società olandese facente capo a Nicolò Cornelio de Witt subentrò nei lavori di bonifica, che non inizieranno a causa della morte del concessionario. La Camera Apostolica proclamò quindi un editto sulle Paludi Pontine per trovare qualcuno che fosse in grado di proseguire i lavori.[2] Nel Settecento va segnalata l'opera di papa Pio VI[5], che diede vita ad imponenti opere idrauliche realizzando una rete di canali tuttora esistente (Linea Sisto e Linea Pio) e bonificando buona parte delle paludi nella zona di Sezze e Terracina. Dopo la sua elezione nel 1775 Pio VI approvò un piano generale ispirato alle esperienze della Maremma toscana guidate da Leonardo Ximenes. Superando l'approccio privatistico e localistico, le spese furono ripartite fra la Camera Apostolica e i proprietari secondo il criterio del beneficio, usato ancora oggi presso i consorzi di bonifica. Fu proposto di scavare un grande canale lungo la via Appia, navigabile fino a Terracina.

I lavori iniziarono nel 1777, sotto la direzione dell'ingegnere idraulico Gaetano Rappini, con la demolizione di numerose peschiere e lo scavo del nuovo canale, chiamato Linea Pia, in onore del pontefice. I lavori durarono vent'anni, con l'impiego di migliaia di operai. Liberato il territorio dalle paludi, lo scolo delle acque piovane fu assicurato attraverso piccoli canali chiamati Fosse Miliari, perché scavati a distanza di un miglio l'uno dall'altro. Con la rivoluzione francese i lavori subirono un forte rallentamento.[2]

Un tentativo di bonifica riuscito se pur limitato, nel tempo e nell'estensione, fu quello attuato da Anna Carafa nel suo stato di Fondi allora nel Regno di Napoli, che però ebbe breve durata a causa della mancata manutenzione che causò il reinterramento dei canali scavati a metà del secolo XVII (1640-1644 ca.)[6].
I secoli successivi

Buoi maremmani

Nei secoli successivi le poche aree libere dall'acqua diventarono sede di piccoli villaggi provvisori, costituiti da tipiche capanne in paglia e in legno, dette "lestre", abitati da contadini e pastori, che ogni anno scendevano dalle montagne abruzzesi e trascorrevano qui l'inverno. Accanto a loro, vivevano i butteri (da non confondere con quelli della Maremma), che, con indosso caratteristici mantelli neri per ripararsi dalle piogge, ed in sella ai loro cavalli guidavano le mandrie di vacche maremmane e bufale attraverso la palude alla ricerca di pascoli. Molti di essi morivano uccisi dalla malaria. Ogni anno in autunno, prima di risalire, i butteri organizzavano una imponente fiera di bestiame e per attirare i clienti realizzavano spettacoli, rodei e giochi acrobatici.

La palude era frequentata anche dai residenti più poveri dei comuni limitrofi, i quali cercavano di sopravvivere pescando nelle piscine o cacciando, anche se tale pratica era vietata.

Le foreste diventarono anche rifugio dei briganti in fuga dalla polizia pontificia. Nel XVIII secolo una disposizione del Papa regolarizzò di fatto questa situazione concedendo il diritto di asilo ai briganti che si nascondevano nei dintorni del castello di Conca (oggi Borgo Montello), a patto che non si muovessero più dalla zona.

Le selve sconfinate attiravano inoltre molti nobili della capitale, che ospiti dei Caetani, si dilettavano in lunghissime battute di caccia. Nel Settecento, la caccia nelle Paludi Pontine attirò visitatori da tutta Europa; tra i più celebri, il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe, che scrisse[7]:


«Le Paludi Pontine sono l'angolo più selvaggio e affascinante d'Europa»
(Goethe)


Nel 1871, l'Agro entrò nel Regno d'Italia. Dopo l'Unità, il nuovo governo presentò numerosi progetti di bonifica che però rimasero sulla carta, ma aumentarono la fama delle paludi pontine e spinsero numerosi contadini a trasferirsi nei villaggi ai margini della palude, alloggiando nelle "marche", le tipiche abitazioni di paglia. Agli inizi del XX secolo un progetto che prevedeva finanziamenti governativi ai privati che avessero avviato la bonifica dei propri terreni causò uno scandalo finanziario, con sperperi di denaro pubblico e fenomeni di corruzione: fu il cosiddetto "scandalo delle Pontine".

Casa del martirio di Maria Goretti

Nel 1890, un buttero cisternese, Augusto Imperiali accolse la sfida lanciata da Buffalo Bill, che con il suo circo di cowboy aveva fatto tappa a Roma. Il buttero Imperiali riuscì nell'impresa di domare il fiero cavallo statunitense del West, entrando così nella leggenda.

Nel 1950 Maria Goretti fu proclamata da papa Pio XII santa patrona dell'Agro Pontino: nel 1902 la dodicenne, la cui famiglia si era trasferita dalle Marche nell'Agro, preferì farsi uccidere, piuttosto che cedere allo stupro e rinunciare alla sua verginità, che aveva consacrato al Signore.
La bonifica integrale del '900

Un'immagine di Latina dall'alto poco dopo la fondazione.

Nel 1924 ebbe inizio un'imponente opera di bonifica dell'intero territorio fino ad allora noto come Paludi Pontine. La bonifica però, era già stata prevista in un decreto del 1899. Nel 1919 una legge prevedeva il prosciugamento dei terreni paludosi, ma il governo non riusciva a convincere i latifondisti dei lati positivi della bonifica. Il regime fascista li minacciava nel 1926 con l'appropriazione che portava i primi successi. La bonifica a larga scala cominciò solo dal 1928 quando i fascisti sovvenzionavano i latifondisti e la borghesia agricola della zona, pagando fino al 75% dei loro costi.

Gli operai vennero inizialmente reclutati per la maggior parte tra popolazioni povere del Nord Italia (soprattutto dal Veneto), spesso senza alcuna esperienza in campo agricolo. Da ciò risultarono gravi problemi riguardo alla resa agricola dei terreni bonificati, nonostante la fertilità delle terre, che cagionarono varie annate di raccolti scarsi. A giudizio di Mussolini i lavori andavano avanti troppo lentamente, perciò nel 1931 il progetto fu affidato all'ONC. Negli anni precedenti alla gestione da parte dell'ONC i lavori di bonifica si svolgevano esclusivamente tra novembre e aprile per limitare il rischio malaria. Sotto l'ONC invece la bonifica andava avanti tutto l'anno e da questo momento iniziò anche una moria con un fin oggi sconosciuto numero di vittime. Saliva anche il numero di deportazioni di oppositori nella zona (socialisti, repubblicani e liberali); visto che si trattò di un'area con un alto livello di controllo sociale loro rischiavano (e spesso persero) la loro vita sui campi paludosi.

Ancora oggi la persistenza dello stato di terreno agricolo piuttosto che di palude è possibile solo grazie all'energia elettrica: la rete di canali di drenaggio e scolo è infatti servita da numerosi impianti idrovori di sollevamento delle acque, necessari per scaricare in mare (direttamente o attraverso i laghi costieri) le acque che, provenendo dalle alture circostanti, si riversano in questo territorio posto di alcuni metri sotto il livello del mare, cosa che impedisce il naturale deflusso delle acque per gravità verso il mare

L'immagine che segue[13] mostra la zona dell'Agro Pontino evidenziando i confini comunali, le curve di livello a 5 metri e i principali canali artificiali:

Curve di livello a 50m e canali principali dell'Agro Pontino

L'immagine seguente[14] mostra invece la totalità dei corsi d'acqua, naturali e artificiali, presenti nella stessa area; la zona di bonifica, compresa tra la duna costiera e le colline, appare evidente dalla regolarità dei canali artificiali:



Dettaglio dell'area bonificata[14] :



L'opera di bonifica iniziò con la vendita allo Stato Italiano di un territorio di 20.000 ettari circa, di proprietà della famiglia Caetani, noto come Bacino di Piscinara (corrispondente in gran parte agli attuali territori comunali di Cisterna di Latina e Latina). Iniziarono così i primi lavori di bonifica con l'istituzione del Consorzio di Bonifica di Piscinara che avviò la canalizzazione delle acque del bacino del fiume Astura.

Nel 1926 fu varato un regio decreto, che istituì due consorzi: il preesistente Consorzio di Piscinara fu esteso su tutti i terreni a destra della linea Ninfa-Sisto, su un'area di 48.762 ettari e a sinistra della linea, il Consorzio di Bonificazione dell'Agro Pontino (26.567 ettari), un'area relativamente inferiore, ma costituita dai territori siti sotto il livello del mare e quindi dove la bonifica fu maggiormente complessa. I due Consorzi erano costituiti dall'unione dei latifondisti privati e dello Stato, ma in seguito alla legge Mussolini (Legge 24 dicembre 1928, n. 3134), i terreni improduttivi o abbandonati potevano essere espropriati quando i proprietari non avessero aderito ai Consorzi e ne avessero comunicato la cessione allo Stato per il tramite della prefettura[15]; quindi gran parte delle aree bonificate passò sotto il controllo diretto dello Stato, che lo delegò all'Opera Nazionale Combattenti. Progettista della bonifica fu il senatore Natale Prampolini, creato poi conte del Circeo.

Fu un'opera immensa: dal 1926 al 1937, per bonificare l'agro, furono impiegate ben 18.548.000 giornate-operaio con il lavoro di cinquantamila operai, reclutati in tutto il Paese[16]. Oltre al prosciugamento delle paludi, la costruzione dei canali, ci fu l'azione di disboscamento delle foreste e la costruzione dei nuovi centri, che sorgevano man mano nei nuovi territori.

L'epopea della bonifica è stata successivamente narrata in romanzi e film come la controversa serie tv di Canale 5 Questa è la mia terra o il romanzo di Antonio Pennacchi Canale Mussolini vincitore del Premio Strega 2010.

L'Opera Nazionale Combattenti guidata da Valentino Orsolini Cencelli fu l'ente principale ad occuparsi della gestione dei terreni e dei poderi che venivano via via costituiti nei terreni bonificati, affidandoli in concessione a coloni provenienti per la stragrande maggioranza dalle regioni, allora povere e sovraffollate del Veneto, del Friuli e dell'Emilia. Ai nuovi coloni veniva dato un terreno coltivabile, una casa nuova con annessa stalla, alcuni animali da lavoro e tutti gli attrezzi necessari. Avevano diritto ad una parte del raccolto e/o ad una paga in denaro, ma contraevano un debito ("debito colonico") di valore pari ai beni ricevuti, che doveva essere progressivamente estinto attraverso la cessione produzione agricola allo stato: all'estinzione del debito corrispondeva il riscatto di casa e terreno.

Al centro dei vari poderi, venivano costruite delle case coloniche (circa 4000), molte delle quali tuttora abitate dai discendenti dei "pionieri". In seguito, il territorio fu suddiviso in comprensori facenti capo ciascuno ad un borgo o ad un capoluogo comunale; i borghi, con una struttura urbanistica in molti casi simile, con la chiesa, la casa del fascio, il credito agricolo, la scuola avevano in origine la funzione di fare da centri di raccordo fra i vari poderi e di provvedere alla necessità dei coloni.

Il Monumento ai bonificatori a Borgo Flora

Il primo borgo ad essere costruito fu Borgo Podgora, nel 1927, destinato ad appartenere pochi anni dopo al comune di Latina, creato inizialmente come villaggio operaio con il nome di Sessano (dal nome del vicino rudere della medievale torre di Sessano) e solo progressivamente convertito in borgo rurale; i primi centri invece concepiti e fondati direttamente come centri della colonizzazione e dell'appoderamento furono probabilmente Borgo Isonzo, Borgo Piave e Borgo Carso, costruiti a partire dal 1931.

I borghi di nuova fondazione a partire dal 1933 furono battezzati o ribattezzati in gran parte con nomi ispirati ai principali luoghi di battaglia della Prima guerra mondiale. In alcuni casi invece fu adottato il nome "storico" della località (per esempio Doganella di Ninfa fra Cisterna di Latina e Sermoneta) oppure furono legati all'attività principale del borgo (Littoria Stazione, oggi Latina Scalo - sorto come centro di servizio per i passeggeri dello scalo ferroviario di Latina).

Di molti borghi si tramanda tradizionalmente anche una denominazione "preesistente", che talvolta è indicata anche nella segnaletica stradale: tale denominazione in alcuni casi è la vera prima denominazione ufficiale del centro stesso edificato come villaggio operaio della bonifica (Sessano, Passo Genovese, Casale dei Pini, Villaggio Capograssa), in altri casi si riferisce invece a toponimi minori relativi ad antichi incroci, strade o casali situati nei pressi del centro del nuovo borgo, ma sostanzialmente disabitati prima della bonifica (Conca, Antonini, La Botte, Piano Rosso, Foro Appio), in tutti i casi nella documentazione storica sono spesso presenti entrambe le denominazioni, talvolta con qualche variante.

Campi coltivati nell'Agro Pontino nei pressi di Sabaudia

Oltre ai borghi veri e propri, si procedette all'edificazione di nuove città concepite secondo i criteri dell'architettura razionalista: la prima ad essere fondata fu nel 1932 Littoria (oggi Latina), cui seguirono Sabaudia (così definita in onore dei Savoia), Pontinia, Aprilia e Pomezia.

La seconda guerra mondiale


Durante la seconda guerra mondiale, l'Agro era l'estremo lembo meridionale della Repubblica Sociale Italiana e a partire dal gennaio del 1944 si trovò stritolato fra ben tre fronti: la linea Gustav a sud, il fronte di Cassino a est e soprattutto lo sbarco, tentato dagli Alleati ad Anzio il 22 gennaio. I tedeschi riuscirono a sorpresa a bloccare gli Americani, e a predisporre una linea difensiva fra Aprilia, Cisterna di Latina e Littoria. Dopo due mesi di stallo, a marzo i tedeschi prepararono una massiccia offensiva costringendo la popolazione civile ad abbandonare la zona. Gli Alleati tuttavia reagirono con energia, conquistando Aprilia agli inizi di aprile. Il 23 maggio fu lanciata l'operazione Buffalo: gli Americani puntavano a sfondare la linea, puntando sull'abitato di Cisterna riuscendo ad entrarvi solo dopo una battaglia durissima l'indomani, mentre i tedeschi che si erano rintanati nel cinquecentesco palazzo Caetani, (nel centro di Cisterna) si arresero solo nel primo pomeriggio. Il 24 maggio gli americani entrarono a Littoria, il 25 fu raggiunta Pontinia e le truppe alleate si ricongiunsero con i compagni che giungevano da Terracina. Il 29 maggio l'Agro era completamente liberato, la situazione generale era però a pezzi. I lunghi mesi di guerra avevano seminato ovunque dolore e distruzione, intere zone erano rase a suolo, buona parte della popolazione era stata allontanata forzatamente dalle proprie abitazioni. Inoltre i tedeschi nel tentativo di ritardare l'avanzata degli alleati, avevano volutamente danneggiato e distrutto molte opere di bonifica, provocando l'allagamento di ettari di terreno, causando in molte zone anche il drammatico ritorno della malaria.

Una suggestiva veduta del Lago di Paola, nel Parco nazionale del Circeo

Gli anni dello sviluppo industriale


L'introduzione dell'Agro Pontino nelle zone sostenute dalla Cassa del Mezzogiorno e la notevole disponibilità di manodopera hanno favorito l'insediamento di numerosissime aziende, soprattutto chimiche, alimentari, farmaceutiche, sintetiche, concentrate in prevalenza nel triangolo Latina-Aprilia-Cisterna.

La crescita industriale ha attratto numerosi immigrati dall'Italia centro meridionale. L'immigrazione ha avuto il suo massimo negli anni settanta e ottanta e le terre di maggior provenienza erano soprattutto Abruzzo, Campania e Sicilia che si è mescolata ai locali e ai coloni giunti dal Nord Italia. L'arrivo di gente da tutta Italia ha favorito, soprattutto nei centri maggiori, uno straordinario mescolamento di culture, modi di vivere, dialetti che ha fatto dell'Agro Pontino un caso di studio demo-sociologico nazionale.


Il dialetto

L'Agro Pontino non presenta un unico idioma: nei borghi, in alcuni centri minori e nelle campagne, nelle cosiddette comunità venetopontine, è in piccola parte ancora presente il veneto, accanto talvolta al dialetto ferrarese ed al friulano, che anche ove non più praticati hanno comunque lasciato un'influenza nella pronuncia locale dell'italiano e, ove utilizzato, del dialetto romanesco.

Nelle città è invece sempre praticato il romanesco, perlopiù leggermente diverso da quello proprio di Roma, mantenendo un accento leggermente più conservativo e annoverando nel lessico numerosissime parole ed espressioni idiomatiche mutuate da altri dialetti, come quello lepino o il veneto. Nei centri preesistenti alla bonifica ed in parte dei relativi territori comunali sono praticati dialetti del sottogruppo lepino, a sua volta incluso nel più grande gruppo dei dialetti laziali. Queste parlate presentano notevoli varianti fra loro e, in epoca moderna, hanno risentito in alcuni casi dell'influsso del romanesco, nonché di una progressiva sostituzione in favore dell'italiano locale; tali parlate di ceppo lepino sono presenti nei centri di Cisterna, Terracina e San Felice Circeo. Oltre ai citati comuni, anche altre aree rurali, specie nella fascia pedemontana, vedono presenti parlate di tipo lepino, in particolare parlate analoghe a quelle dei limitrofi centri situati sulle colline Lepine: questo accade in particolare per l'area dei comuni di Sermoneta e Sezze, ma anche per una larga fetta del territorio del comune di Pontinia ove si praticano i dialetti sezzese, privernese e sonninese; parlate di ceppo lepino sono diffuse anche nel comune di Sabaudia, derivate sostanzialmente dai dialetti di Terracina e San Felice Circeo.

MONTI  LEPI NI 

I Monti Lepini sono un gruppo montuoso del Lazio, appartenente al settore settentrionale dei Monti Volsci, nell'Antiappennino laziale, contenuti interamente nel Lazio, fra le province di Latina, Roma e Frosinone. Confinano a nord con i Colli Albani, ad est con la valle del Sacco, a sud con i Colli Seiani (sottogruppo collinare tra Sezze e Priverno che li collega ai Monti Ausoni), a sud-est con la Valle dell'Amaseno e ad ovest con l'Agro Pontino. La vetta più alta è il Monte Semprevisa con i suoi 1536 metri; situato fra i Monti Lepini e i Monti Ausoni si trova il Monte Siserno che costituisce un gruppo intermedio dubitativamente attribuito ai Monti Lepini in quanto in riva destra del Fiume Amaseno, ma completamente isolato da entrambi.


Il nome sembra che derivi dalla voce latina lapis, cioè pietra calcarea.

Nella carta di Abrahamus Hortelius del 1595 l'aggettivo lepino compare al singolare riferendosi ad un rilievo compreso tra Signia colonia (Segni) e Sulmo (Sermoneta) corrispondente dunque all'attuale Monte Lupone, che viene nominato Lepinus mons. Nel 1829 nella carta di Giovanni Enrico Westphal sulla antica toponimia, si trova riferimento allo stesso territorio come Lepini Montes (Monti Lepini) che è dunque considerato al plurale come insieme di monti. Successivamente nelle carte pontificie preunitarie, il Monte Lupone viene chiamato Monte Lupino e infine assume la dicitura attuale Monte Lupone con l'unità d'Italia quando allo stesso tempo il nome Monti Lepini viene esteso a tutto il gruppo montuoso.
Orografia

Cima della Semprevisa

I Monti Lepini - tutelati dalle Comunità Montane dei Monti Lepini[1] - sono composti da due sottogruppi principali: uno occidentale e l'altro orientale divisi dalla valle compresa tra Montelanico e Maenza. Si tratta di una valle che si origina ad ovest di Paliano restringendosi nella "Bocca di Montelanico", prosegue salendo per Carpineto Romano - al centro della vallata omonima - fino al passo di Cona Selvapiana (600 metri s.l.m.) e si getta verso sud sfociando sulla Media Valle dell'Amaseno, al confine nord del territorio comunale di Priverno.

Il sottogruppo dei Monti Lepini occidentali, lungo 30 km, con andamento da nord-ovest a sud-est, ha origine ad oriente dei Colli Albani ed assume una sua definizione più netta a partire dalla vetta del Monte Lupone (m 1378); quindi prosegue lungo lo spartiacque (sud-est), con una serie di rilievi minori: Colle Piano, Il Monte, Colle la Costa, Colle Zappetella, Monte Gorgoglione (m 928), Monte Perentile (m 1022). La sequenza altimetrica è interrotta dal Passo della Fota, valico mulattiero di comunicazione fra il versante pontino e quello interno della catena; quindi riprende quota con il Monte Belvedere (m 1258), il Monte Capreo (m 1461), il Monte Erdigheta (m 1336), dopo il quale si stende la Sella del Semprevisa (m 1536), che domina Camporosello. Da qui il crinale prosegue per fitte faggete culminando nella vetta della Semprevisa (m 1536) e ridiscendendo poi, verso il territorio di Roccagorga, con le cime più meridionali: Monte la Croce (m 1429), Monte Erdigheta (m 1336), Monte Pizzone (m 1313), Monte della Difesa (m 923).

Panoramica del versante interno dei Monti Lepini visti da sopra l'abitato di Arpino

Il sottogruppo dei Monti Lepini orientali, lungo circa 25 km, procede da nordovest a sudest. Si forma nella zona fra Sgurgola e Gorga, sul confine fra le province di Roma e Frosinone, e si definisce a partire da Monte Filaro (m 1230); procede quindi attraverso una densa teoria di rilievi: Monte Favilozzo (m 1283), Rocca San Marino (m 1387), Monte Alto (m 1416), Sprone Maraoni (m 1328), Monte Malaina (m 1480); e, proseguendo al di là del pianoro di Santa Serena: Monte Gemma (m 1457), Monte Salerio (m 1439), Monte Acuto (m 827), Monte Sentinella (m 1110), Monte Cacume (m 1095) e Monte Calvello (m 935).

Al di là di questi due sottogruppi principali, vi sono alcuni rilievi abbastanza isolati e molto meno elevati a valle di Sgurgola e in corrispondenza dei colli bordieri della Pianura Pontina, come il Monticchio di Sermoneta.
Rilievi principali

Scorrendo in sequenza le due catene emergono:

Monte Gemma

Monti Lepini vista dagli Ernici, al centro la Valle Latina
Monte Lupone (m 1378)
Monte Perentile (m 1022)
Monte Belvedere (m 1258)
Monte Capreo (m 1461)
Monte Ardicara (m 1440)
La Semprevisa (m 1536)
Monte Erdigheta (m 1336)
Monte della Difesa (m 923)
Monte Malaina (m 1480)
Monte Cacume (m 1095)
Monte Gemma (m 1457)
Monte Failone (m 1415)

Aspetti naturalistici

Monte Caccume (1095 m) klippe di calcari cretacei deformati sovrapposti tettonicamente sulla serie dei Monti Lepini

I Monti Lepini pur mantenendo una fortissima identità naturalistica e geologica in comune con il resto dei Monti Volsci offrono aspetti peculiari tipici che risiedono nella conformazione geologica e strutturale e nelle risorse idriche di cui dispone.


Flora e fauna

Oasi di Ninfa

La flora è molto varia in ragione delle differenti quote ed esposizioni di questa zona montuosa. Mentre sui versanti più bassi ed occidentali abbonda la macchia mediterranea, nelle zone elevate ed esposte a nord (come la Sella del Semprevisa) si stendono fitte faggete. Particolare menzione merita la Selva di Cori, una bosco di essenze miste, sito nella zona più nord-occidentale del comprensorio, tra Cori e Norba, nel territorio compreso fra il Monte Lupone e il Monte Arrestino. Infine, rinomata è l'Oasi di Ninfa, un lussureggiante parco floristico, visitabile soltanto in periodi predefiniti.

Molto ricca è la fauna avicola, rappresentata dal falco pellegrino, dal corvo imperiale, dall'aquila reale, dal falco lanario e dall'avvoltoio capovaccaio. È presente anche il lupo, le cui cucciolate sono state rese oggetto di una caccia spietata nella zona. Forse l'episodio culminante di questa opera distruttiva fu raggiunto nel 1983, quando un cucciolo morto di lupo fu barbaramente inchiodato da alcuni vandali sul portone del municipio di Carpineto Romano.
L'uomo

Questa zona storicamente fu abitata dai Volsci, fieri nemici dei Romani. Di epoca romana restano ben conservati, a Cori, il tempio di Ercole (89-80 a.C.) ed il tempio di Castore e Polluce (I secolo a.C.). Ricca di testimonianze è l'acropoli di Norba latina, fondata da Roma nel 492 a.C., di cui resta il tempio di Giunone, il Foro e l'intero circuito murario, che aveva lo scopo di proteggere la città. Sezze (l'antica Setia) conserva tratti di mura in opera poligonale. La città medioevale di Ninfa, già citata per l'oasi omonima, fu feudo dei Frangipane, distrutta dal corsaro barbaresco Khayr al-Dīn Barbarossa e abbandonata nel 1680 per poi essere trasformata in giardino nel 1920. Sermoneta, amata da Virgilio, conserva intatto il centro storico medioevale.
Dialetto locale
I dialetti questa zona sono molto caratteristici e vanno inseriti nel gruppo dei Dialetti Mediani, cioè quel gruppo che comprende anche le parlate del Lazio "pontificio" (quindi sotto l'amministrazione dello Stato della Chiesa), dei comuni abruzzesi negli immediati dintorni dell'Aquila, dell'Umbria e delle Marche centrali. Per la precisione sono dialetti di tipo Ciociaro.

altro:
Bonifica agraria
Borghi dell'Agro Pontino
Museo di Piana delle Orme
Parco nazionale del Circeo
Pianura pontina

(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.)














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